Belgrado, 20 giugno 1976: Antonin Panenka trasforma il rigore decisivo
nella finale di Coppa Europa con quello che oggi definiamo
in Italia col nome di “cucchiaio” : quel
tipo di rigore battuto con un tocco smorzato e centrale al termine di
una rincorsa veemente, tale da ingannare il portiere avversario e
indurlo a tuffarsi su un lato della porta. Quando poi il pallone prende
il volo, morbido e beffardo, all’ormai inerme portiere non resta che
guardarlo scendere lentamente verso la rete come una foglia caduta
dall’albero. E parlando di cucchiaio, i nostri ricordi al passato
prossimo corrono immediatamente su una delle più celebri gesta di
Francesco Totti e sul suo indimenticabile rigore in Italia-Olanda alla
semifinale degli Europei del 2000 ai danni di Edwin Van der Saar.
Come quasi tutti sappiamo, prima di avvicinarsi al dischetto Totti aveva
annunciato al suo compagno Gigi Di Biagio nel proprio caratteristico
romanesco vernacolare:
"A Gi’, quanto è grosso Van der Sar. Pensa se rimane fermo in piedi mentre je faccio er cucchiaio che figura de merda faccio"
Da quel momento il cucchiaio (o anche “er cucchiaio”) ha iniziato a
diventare una moda, quasi un tormentone, degli anni 2000, ed è stato
tentato da una pletora di campioni dei nostri giorni, tra cui Pirlo,
Zidane, Ribéry, Di Canio e Mutu. C’é però anche un rovescio della
medaglia per questa finezza balistica, e consiste nella sventurata
eventualità che il portiere avversario non caschi nel tranello; non si
tuffi da un lato e rimanga in piedi sulla linea di porta. Ed è stato
sempre Totti, il precursore di casa nostra, a farne le spese (chi di
cucchiaio ferisce, di cucchiaio perisce), rimediando un’altrettanto
storica figuraccia, quando si è visto parare comodamente il rigore da un
seraficissimo Vincenzo Sicignano in un Roma-Lecce dell’autunno 2004.
Eppure per tutto il resto del mondo il cucchiaio è soltanto quello che
si usa per raccogliere la minestra dal piatto, e come aveva ricordato
Bruno Pizzul, rivangando la propria memoria ultradecennale nel commento
in diretta dell’impresa di Totti in Italia-Olanda del 29 giugno 2000,
quel tipo di rigore lo aveva già realizzato un certo Antonin Panenka,
centrocampista cecoslovacco, nel lontano 1976, durante la finalissima di
Coppa Europa. Peccato che la memoria del nostro Bruno nazionale si
fosse incastrata tra un ingorgo altrettanto ultradecennale di ricordi, e
gli aveva generato un piccolo abbaglio sul nome dell’avversario della
Cecoslovacchia, facendogli confondere la Germania Ovest con la
Jugoslavia.
Germania Ovest-Cecoslovacchia era stata infatti la
finale di Coppa Europa 1976, mentre la Jugoslavia era solo la nazione
ospitante. I tedeschi occidentali si erano presentati a questo evento
come i grandi favoriti. Non erano solo i campioni del mondo in carica
dal 1974, ma avevano tra le loro file giocatori del calibro del portiere
Sepp Maier, del difensore Berti Vogts, del libero Franz Beckembauer, in
procinto di festeggiare la propria centesima partita in nazionale, del
centrocampista Rainer Bonhof e degli attaccanti Uli Hoeness e Dieter
Mueller, il sostituto del ben più grande Gerd. Erano approdati alla
finalissima, (all’epoca la fase finale degli europei si svolgeva tra
sole quattro squadre in un mini-torneo a eliminazione diretta), dopo
aver battuto per 4-2 i padroni di casa della Jugoslavia al termine di
120 minuti di autentica passione, riuscendo nell’impresa di rimontare un
parziale di 0-2 a fine primo tempo, per poi assistere al crollo fisico
dei più raffinati palleggiatori jugoslavi, scoppiati uno dopo l’altro
come pop corn.
La Cecoslovacchia, al contrario, era un oggetto
misterioso anche per gli addetti ai lavori. Dei suoi giocatori si sapeva
piuttosto poco, rigorosamente confinati com’erano nel loro paese (una
norma interna stabiliva che i calciatori non potevano emigrare
all’estero prima di avere compiuto i 32 anni di età), e le squadre di
club cecoslovacche non andavano mai al di là di mediocri prestazioni
nelle coppe europee. Ma, nonostante questo biglietto da visita
decisamente opaco, la nazionale era arrivata alla brevissima fase finale
del campionato europeo, eliminando formazioni di altissimo livello,
come l’Unione Sovietica guidata dal colonnello Lobanovsky col suo blocco
della Dinamo Kiev, e la spumeggiante Inghilterra di Kevin Keegan.
Belgrado, 20 Giugno 1976. La formazione cecoslovacca (Antonin Panenka è il secondo da destra)
Come la Germania Ovest, anche la Cecoslovacchia era reduce da una
semifinale vinta ai supplementari. Sul campo del Maksimir di Zagabria,
ridotto a una palude da un nubifragio estivo, il 16 giugno aveva avuto
ragione per 3-1 dei vice campioni del mondo del dream team olandese dei
vari Ruud Krol, Johan Neeskens, Johnny Rep, Rob Rensebrink e soprattutto
di Johann Cruijff.
Per la finale della domenica sera del 20
giugno le due federazioni tedesca occidentale e cecoslovacca si erano
accordate per ricorrere alla lotteria dei calci di rigore, nel caso di
persistente pareggio anche dopo i tempi supplementari. E, per la prima
volta nella storia del calcio, un incontro internazionale si sarebbe
deciso con questa soluzione. Infatti, in precedenza le partite terminate
in parità alla fine dei 120 minuti di gioco venivano ripetute qualche
giorno dopo, come nel caso della finale europea di Roma del giugno 1968
tra Italia e Jugoslavia, finita 0-0, e vinta dai nostri per 2-0 nel
secondo incontro.
Allo stadio della Stella Rossa di Belgrado
c’erano appena 35mila spettatori quella sera del 20 giugno: davvero
pochini per una finalissima di Coppa Europa. Ma i prezzi dei biglietti,
praticamente proibitivi per gli austeri belgradesi dei tempi del
socialismo autogestito, avevano tenuto lontano il grande pubblico. La
partita si era rivelata emozionante e spettacolare. E i tedeschi avevano
compiuto di nuovo l’impresa di rimontare lo svantaggio di 0-2
accumulato nei primi minuti, ed avevano agguantato il pareggio, come
loro ormai conclamata consuetudine (iniziata sei anni prima con il
celebre gol del parziale 1-1 di Hans Schnellinger al 93′ di
Italia-Germania Ovest del 1970), in zona Cesarini, grazie a una rete di
Hölzenbein di testa sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
Si
era così arrivati ai rigori, con la cornice di un drappello di meno di
diecimila tifosi tedeschi occidentali a sostenere la squadra in maglia
bianca, con qualche bandiera cecoslovacca che sventolava timidamente qua
e là, e con il resto dello stadio a fare il tifo per i propri cugini
slavi. Dopo tre serie di tiri, tutti i rigoristi avevano
disciplinatamente portato a termine la loro missione. Era toccato quindi
al difensore cecoslovacco Jurkemik, che aveva trasformato in rete con
una staffilata angolata e imprendibile. A pareggiare il conto avrebbe
dovuto provvedere Uli Hoeness, un attaccante del Bayern di Monaco appena
ventiquattrenne, ma già espertissimo in campo internazionale e con una
carriera baciata da un continuo successo. Hoeness aveva preso una
rincorsa poderosa, ma aveva colpito il pallone troppo sotto,
sparacchiandolo molto al di sopra della porta difesa da Ivo Viktor. Così
in alto che più di vent’anni dopo Franz Beckembauer avrebbe commentato
sarcastico:
Il pallone di Hoeness lo stanno cercando ancora adesso per le vie di Belgrado.
Antonin Panenka, un perito alberghiero di ventotto anni, si era trovato
così tra i piedi il pallone della prima (ed anche unica) Coppa Europa
per il proprio paese. Nonostante stesse portando sulle spalle una
responsabilità enorme, si sentiva sicuro. Come il suo predecessore
Hoeness, anche lui aveva preso una rincorsa lunga e potente. Ma giunto
al dischetto si era fermato di colpo, mentre Sepp Maier si stava già
tuffando da un lato. E in quella frazione di secondo in cui il portiere
della nazionale tedesca e del Bayern di Monaco aveva già perso
l’equilibrio, il baffuto Panenka aveva preso la mira per scodellare la
palla in rete con un morbidissimo e centrale tiro a foglia morta.
Maier ignorava che Panenka era ben avvezzo a questo tipo di rigori.
Infatti quest’ultimo li aveva già testati innumerevoli volte in
allenamento, e da un paio d’anni aveva cominciato a tirarli in questo
modo anche con il suo Bohemians Praga nelle partite del campionato
cecoslovacco. Ma anche se Monaco e Praga non distavano tra loro che
poche centinaia di chilometri, la cortina di ferro si infrapponeva nel
mezzo, rendendo pressoché impermeabili tutte le informazioni, comprese
quelle sportive. Cosi, questa maniera del tutto innovativa di battere un
calcio di rigore, inventata da questo ancora semisconosciuto
centrocampista boemo, era rimasta completamente ignota al grande
pubblico fino a quel momento: anche all’incolpevole Sepp Maier.
Belgrado, 20 Giugno 1976. Il tedesco Uli Hoeness sbaglia il rigore decisivo
E il cucchiaio, anzi il panenka, come è conosciuto oggi in tutto il
mondo, stivale escluso, cadde nell’oblio (o quasi) per ventiquattro
lunghi anni, prima di venire riscoperto con impressionante successo nel
decennio appena trascorso. Antonin Panenka, il legittimo proprietario
del brevetto non era era esattamente l’uomo ideale per fare da
testimonial a questa meravigliosa invenzione. Apparteneva a un paese del
blocco sovietico, in cui, per principio, il concetto di pubblicità era
inconcepibile in natura. E per di più, non lo si poteva definire bello e
di gentile aspetto, con quei capelli, che sembravano tagliati con
l’accetta, e un paio di baffi da cosacco, tutt’altro che glamour anche
secondo gli elastici standard d’immagine in uso negli anni settanta.
Anche altri modi di battere i rigori si erano distinti nel corso della
storia del calcio per originalità ed efficacia. E tra tutti, due erano
particolarmente suggestivi dal punto di vista stilistico. Il primo era
il tiro da fermo, ideato e realizzato da Gianfranco Casarsa, attaccante
della Fiorentina e del Perugia tra il 1974 e il 1981: personaggio, come
Panenka, forse troppo casereccio per diventare un’icona pop. Ispirato
molto probabilmente a quest’ultimo, era poi il rigore con un solo passo
di rincorsa, lanciato da Beppe Signori negli anni novanta.
Ma
nessuno di questi avrebbe mai potuto competere per raffinatezza con il
cucchiaio, o panenka, tanto che il quotidiano sportivo francese L’Equipe
aveva definito, forse con un’enfasi un po’ troppo sopra le righe, il
suo inventore come un poeta del calcio; ed anche il grande Pelé era
intervenuto nella discussione, affermando:
Solo un genio o un pazzo avrebbe potuto tirare un rigore in quel modo.
Correva l’anno 1976: proprio quello in cui sarebbe nato Francesco
Totti. E da lì a ventiquattro anni il panenka, nella sua versione
italiana, sarebbe diventato "er cucchiaio".
http://youtu.be/8RYZ90tzDFY
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