E’ nata prima la birra o il boccale?
A Monaco di Baviera è nato sicuramente prima il TSV 1860 München.
Il figlio maggiore di genesi masochista. Quello splendido, ma poi
ripudiato dal tempo che lo ha riempito di rughe e sconfitte, lasciando
spazio e gloria alla seconda prole, rossa, vincente, ricca.
“ Papà, quando è stata l’ultima volta in cui il Monaco 1860 ha vinto il derby? ”
“ Non so figliolo, dovresti chiedere al nonno! ”
Umorismo tedesco.
Magari non il massimo della commedia, ma questa freddura a Monaco di
Baviera è circolata per molti anni tra i tifosi del Bayern.
Per
la precisione, il digiuno è durato dal 12 novembre del 1977 al 27
novembre del 1999, esattamente ventidue anni di sofferenza sportiva
interrotti dalla bordata di Thomas Riedl all’Olympiastadion di Monaco.
Una vittoria che coincise con l’ultimo colpo di coda del club, ovvero
quando il quarto posto nella stagione 1999/00 in Bundesliga, raggiunto
grazie ai lampi di classe di un ispirato Thomas Hassler a fine carriera,
valse la prima e finora unica qualificazione nella moderna Champions
League.
Eppure.
Eppure nei giorni della partita di
campionato, a Marienplatz, nel cuore della città, si vedono solo maglie
blu e celesti, indossate con composta fierezza da quei sostenitori che
per tutta la settimana sembra restino nascosti nelle loro stanzette,
soli, eclissati in un limbo di antichi ricordi, per non essere umiliati e
accecati dallo strapotere e dai luccichii dell’altro club.
Fanno perfino tenerezza.
Invadono la metro che li porta al capolinea della U3.
Un fiume di sciarpe e maglie con i colori dei Leoni.
Perché loro sono Die Löwen.
Non hanno più il loro amato vecchio Grunwalder stadion.
Adesso condividono casa con loro.
Una gran bella casa per la verità, dove per lo meno le birrerie sono diverse.
Ognuno ha la loro, e dentro quella del Monaco 1860, i cori e le urla contro i cugini si sprecano.
Qui si può bere, non è vietato.
Come si può facilmente dedurre, il Monaco 1860 deve il nome all’anno
della propria fondazione, anche se all’epoca non era ancora altro che
una polisportiva di ginnastica e atletica.
Per l’avvento del calcio si sarebbero dovuti aspettare una quarantina d’anni, precisamente il 1899.
Poi, solo un anno dopo, da un gruppetto di diciotto dissidenti della
società di ginnastica Münchner TurnVerein avrebbero visto la luce gli
odiati vicini.
C’è un epoca d’oro nella storia del Monaco 1860.
Comincerà negli anni sessanta e durerà per tutto quel decennio, sotto
la guida dell’allenatore austriaco Max Merkel, musico dedito al calcio
arrivato dopo qualche buon risultato sulla panchina del Borussia
Dortmund.
Il pentagramma ebbe poche sbavature d’inchiostro e
la sua orchestra in campo suonò fino a diventare Campione di Germania
nel 1966 passando una notte da protagonista a Wembley seppure fagocitato
dalla bulimia dei martelli di Bobby Moore.
Tuttavia il boccone
per lo West Ham apparve più duro del previsto, e solo a venti minuti
dal termine una doppietta di Alan Selay decise la sfida davanti ai
centomila accorsi nel grande stadio londinese.
Il Monaco 1860
era pervenuto alla finale di Coppa delle Coppe del 19 maggio 1965 dopo
una durissima sfida in semifinale contro il Torino di Gigi Meroni,
risolta addirittura con uno spareggio il 5 maggio 1965 al Letziground di
Zurigo dove i bavaresi si imporranno definitivamente per 2-0.
Una squadra bella e forse anche un po’ stramba quella dei “Die Sechzger”.
Il portiere era uno iugoslavo, tale Petar Radenkovic, uno dei
personaggi sicuramente più colorati che hanno calcato le scene del
calcio tedesco.
Registrò anche un disco ('Bin i Radi, bin i König') meravigliando le folle ben oltre le linee della sua area di rigore.
Il capitano Rudolf Brunnenmeier era sulla buona strada per diventare capocannoniere della Bundesliga in quella stagione.
E non solo lui emergeva dal gruppo di Merkel.
C’era Hans Küppers, elemento dalle grandi doti tecniche con annesso
tiro incisivo; in mezzo al campo Peter Grosser, a fornire idee geniali, e
va speso sicuramente il nome di Hans Heiss Rebele un robusto
centravanti di manovra dal sorriso tagliente.
Tuttavia dopo la vittoria della Bundesliga nel 1966 la fortuna volgerà presto le spalle a quelli del 1860.
Alla fine del 1969 il bilancio societario cominciò a presentare le
prime crepe, con un’esposizione debitoria di oltre due milioni di
marchi. E come una tegola, nel 1970 si abbatte anche l’onta della
retrocessione nella seconda divisione del campionato tedesco, con una
conseguente emorragia di pubblico e di incassi.
Gli anni
settanta erano stati un periodo di difficoltà finanziarie per tutto il
calcio tedesco, e persino il cancelliere socialdemocratico Helmut
Schmidt era dovuto intercedere presso le banche per salvare dalla
bancarotta l’Amburgo, la sua squadra del cuore.
E il peggio
doveva ancora venire, visto che dopo il derby vinto nel 1977, il Monaco
1860 è costretto a ripartire addirittura dai campionati regionali.
L' ombra del fallimento venne spazzata via dall’avvento di Karl Heinz
Wildmoser, ambiziosissimo presidente, che riporterà la più antica
squadra di Monaco in Bundesliga, e, come detto, al tramonto degli anni
novanta a rompere l’ultraventennale digiuno nei derby, respirarando
addirittura aria di Champions League a trentatré anni dall'ultimo
titolo.
Ma la storia del Monaco 1860 presenta qualcosa di strano.
Ciò che per tutti, all’alba del nuovo millennio è fonte di enormi
guadagni, per i leoni di Baviera diventa paradossalmente la causa della
rovina.
Ovvero, la costruzione dello stadio di proprietà,
l’Allianz Arena, l'impianto che per i cugini del Bayern, con il loro
indotto e i loro centocinquantamila soci, è un investimento verso il
futuro, mentre per il piccolo Monaco 1860 è un salto finanziario nel
buio.
E Wildmoser, nel frattempo affiancato dal figlio, si ritrovò sommerso dai debiti.
Nel 2004 il club tentò addirittura a tornare a giocare nel catino dello
storico Grundwalder Stadion, per la gioia dei tifosi, ma il passo
indietro non fece altro che complicare la già precaria situazione.
L’Allianz Arena non poteva essere abbandonata, ma i debiti ed i costi di gestione rischiano di schiacciare il club.
Il secondo fallimento della storia fu evitato da uno sceicco giordano,
tale Hasan Abdullah Ismaik, che non assomigliava affatto a Lawrence
d’Arabia ma entrò a Monaco subito col piede di guerra perché la legge
tedesca gli vietava di possedere, in quanto socio estero, il 51% del
club.
Un personaggio non amatissimo dalla tifoseria, la quale spesso ha espresso dissenso verso il suo arrivo.
In ogni caso il Monaco 1860 langue, attendendo ancora di tornare a ruggire sul serio.
Unica certezza un boccale di birra.
di Simone Galeotti.
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