venerdì 7 novembre 2014

HIC SUNT LEONES

E’ nata prima la birra o il boccale?

A Monaco di Baviera è nato sicuramente prima il TSV 1860 München.

Il figlio maggiore di genesi masochista. Quello splendido, ma poi ripudiato dal tempo che lo ha riempito di rughe e sconfitte, lasciando spazio e gloria alla seconda prole, rossa, vincente, ricca.

“ Papà, quando è stata l’ultima volta in cui il Monaco 1860 ha vinto il derby? ”

“ Non so figliolo, dovresti chiedere al nonno! ”

Umorismo tedesco.

Magari non il massimo della commedia, ma questa freddura a Monaco di Baviera è circolata per molti anni tra i tifosi del Bayern.

Per la precisione, il digiuno è durato dal 12 novembre del 1977 al 27 novembre del 1999, esattamente ventidue anni di sofferenza sportiva interrotti dalla bordata di Thomas Riedl all’Olympiastadion di Monaco.

Una vittoria che coincise con l’ultimo colpo di coda del club, ovvero quando il quarto posto nella stagione 1999/00 in Bundesliga, raggiunto grazie ai lampi di classe di un ispirato Thomas Hassler a fine carriera, valse la prima e finora unica qualificazione nella moderna Champions League.

Eppure.

Eppure nei giorni della partita di campionato, a Marienplatz, nel cuore della città, si vedono solo maglie blu e celesti, indossate con composta fierezza da quei sostenitori che per tutta la settimana sembra restino nascosti nelle loro stanzette, soli, eclissati in un limbo di antichi ricordi, per non essere umiliati e accecati dallo strapotere e dai luccichii dell’altro club.

Fanno perfino tenerezza.

Invadono la metro che li porta al capolinea della U3.

Un fiume di sciarpe e maglie con i colori dei Leoni.

Perché loro sono Die Löwen.

Non hanno più il loro amato vecchio Grunwalder stadion.

Adesso condividono casa con loro.

Una gran bella casa per la verità, dove per lo meno le birrerie sono diverse.

Ognuno ha la loro, e dentro quella del Monaco 1860, i cori e le urla contro i cugini si sprecano.

Qui si può bere, non è vietato.

Come si può facilmente dedurre, il Monaco 1860 deve il nome all’anno della propria fondazione, anche se all’epoca non era ancora altro che una polisportiva di ginnastica e atletica.

Per l’avvento del calcio si sarebbero dovuti aspettare una quarantina d’anni, precisamente il 1899.

Poi, solo un anno dopo, da un gruppetto di diciotto dissidenti della società di ginnastica Münchner TurnVerein avrebbero visto la luce gli odiati vicini.

C’è un epoca d’oro nella storia del Monaco 1860.

Comincerà negli anni sessanta e durerà per tutto quel decennio, sotto la guida dell’allenatore austriaco Max Merkel, musico dedito al calcio arrivato dopo qualche buon risultato sulla panchina del Borussia Dortmund.

Il pentagramma ebbe poche sbavature d’inchiostro e la sua orchestra in campo suonò fino a diventare Campione di Germania nel 1966 passando una notte da protagonista a Wembley seppure fagocitato dalla bulimia dei martelli di Bobby Moore.

Tuttavia il boccone per lo West Ham apparve più duro del previsto, e solo a venti minuti dal termine una doppietta di Alan Selay decise la sfida davanti ai centomila accorsi nel grande stadio londinese.

Il Monaco 1860 era pervenuto alla finale di Coppa delle Coppe del 19 maggio 1965 dopo una durissima sfida in semifinale contro il Torino di Gigi Meroni, risolta addirittura con uno spareggio il 5 maggio 1965 al Letziground di Zurigo dove i bavaresi si imporranno definitivamente per 2-0.

Una squadra bella e forse anche un po’ stramba quella dei “Die Sechzger”.

Il portiere era uno iugoslavo, tale Petar Radenkovic, uno dei personaggi sicuramente più colorati che hanno calcato le scene del calcio tedesco.

Registrò anche un disco ('Bin i Radi, bin i König') meravigliando le folle ben oltre le linee della sua area di rigore.

Il capitano Rudolf Brunnenmeier era sulla buona strada per diventare capocannoniere della Bundesliga in quella stagione.

E non solo lui emergeva dal gruppo di Merkel.

C’era Hans Küppers, elemento dalle grandi doti tecniche con annesso tiro incisivo; in mezzo al campo Peter Grosser, a fornire idee geniali, e va speso sicuramente il nome di Hans Heiss Rebele un robusto centravanti di manovra dal sorriso tagliente.

Tuttavia dopo la vittoria della Bundesliga nel 1966 la fortuna volgerà presto le spalle a quelli del 1860.

Alla fine del 1969 il bilancio societario cominciò a presentare le prime crepe, con un’esposizione debitoria di oltre due milioni di marchi. E come una tegola, nel 1970 si abbatte anche l’onta della retrocessione nella seconda divisione del campionato tedesco, con una conseguente emorragia di pubblico e di incassi.

Gli anni settanta erano stati un periodo di difficoltà finanziarie per tutto il calcio tedesco, e persino il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt era dovuto intercedere presso le banche per salvare dalla bancarotta l’Amburgo, la sua squadra del cuore.

E il peggio doveva ancora venire, visto che dopo il derby vinto nel 1977, il Monaco 1860 è costretto a ripartire addirittura dai campionati regionali.

L' ombra del fallimento venne spazzata via dall’avvento di Karl Heinz Wildmoser, ambiziosissimo presidente, che riporterà la più antica squadra di Monaco in Bundesliga, e, come detto, al tramonto degli anni novanta a rompere l’ultraventennale digiuno nei derby, respirarando addirittura aria di Champions League a trentatré anni dall'ultimo titolo.

Ma la storia del Monaco 1860 presenta qualcosa di strano.

Ciò che per tutti, all’alba del nuovo millennio è fonte di enormi guadagni, per i leoni di Baviera diventa paradossalmente la causa della rovina.

Ovvero, la costruzione dello stadio di proprietà, l’Allianz Arena, l'impianto che per i cugini del Bayern, con il loro indotto e i loro centocinquantamila soci, è un investimento verso il futuro, mentre per il piccolo Monaco 1860 è un salto finanziario nel buio.

E Wildmoser, nel frattempo affiancato dal figlio, si ritrovò sommerso dai debiti.

Nel 2004 il club tentò addirittura a tornare a giocare nel catino dello storico Grundwalder Stadion, per la gioia dei tifosi, ma il passo indietro non fece altro che complicare la già precaria situazione.

L’Allianz Arena non poteva essere abbandonata, ma i debiti ed i costi di gestione rischiano di schiacciare il club.

Il secondo fallimento della storia fu evitato da uno sceicco giordano, tale Hasan Abdullah Ismaik, che non assomigliava affatto a Lawrence d’Arabia ma entrò a Monaco subito col piede di guerra perché la legge tedesca gli vietava di possedere, in quanto socio estero, il 51% del club.

Un personaggio non amatissimo dalla tifoseria, la quale spesso ha espresso dissenso verso il suo arrivo.

In ogni caso il Monaco 1860 langue, attendendo ancora di tornare a ruggire sul serio.

Unica certezza un boccale di birra.

di Simone Galeotti.




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