venerdì 24 maggio 2013

La maledizione di Bela Guttmann

Siamo negli anni 60, un palcoscenico maestoso per una serie di eventi ereditati dall'immaginario comune come cruciali nella storia dell'umanità. 
E mentre Martin Luther King marciava pacificamente su Washington, l'uomo approdava per la prima volta sulla Luna, scoppiava la terrificante guerra del Vietnam, dall'altra parte dell'Oceano Atlantico quest'uomo dallo sguardo indecifrabile condannava il Benfica a un'eternità di insuccessi e disperazione sportiva. 
L'elegante signore in fotografia attorniato da uno stuolo di giornalisti è nientemeno che Bèla Guttmann, il leggendario allenatore che portò il club portoghese a trionfare per due stagioni consecutive, 1960-61 contro il Barcellona e 1961-1962 contro il Real Madrid, nella massima competizione europea. Resosi conto delle impareggiabili qualità di Eusebio da Silva Ferreira, all'unanimità riconosciuto come il più grande calciatore portoghese di sempre, e delle potenzialità illimitate del suo team, il tecnico impose alla società un più che sostanzioso ritocco al suo contratto e pretese la possibilità di mettere sul mercato circa metà della rosa utilizzata nel biennio d'oro.
Ma, comprensibilmente, la presidenza non digerì l'estremismo di Guttmann, dandogli un sonoro benservito che pose la parola fine all'ancor oggi irripetibile connubio tra il Benfica e le competizioni europee. 
Dopo quel clamoroso 5-3 rifilato ai Blancos, che interruppe la cavalcata del Real Madrid verso l'ennesima Champions League, il mister non seppe rassegnarsi al rifiuto dei dirigenti, e pronunciò così la sua atroce maledizione: "Il Benfica non vincerà mai più una Coppa Campioni per 100 anni". E, a quanto pare, il terribile vaticinio dell'austriaco non crolla nemmeno dinanzi allo speranzoso pubblico lusitano dell'Amsterdam Arena, che vede i propri beniamini uscire sconfitti da una finale che avrebbero largamente meritato di intascarsi. 
Il Benfica gioca benissimo, affronta la partita con il piglio giusto, pressando all'impazzata i Blues e sfiorando la rete in più di un'occasione.Un'incredibile traversa centrata da Lampard e un miracolo di Cech sull'esterno sinistro di Cardozo dal limite dell'area sono solo il preludio a ciò che accadrà nel finale, quando, quasi che gli spettri del recentissimo match di campionato con il Porto abbandonino le loro tombe e facciano nuova visita al club, Ivanovic ammutolisce metà stadio con un colpo di testa di rara bellezza e precisione, annichilendo difensori e portiere. Ancora una volta nei minuti di recupero, ancora una volta il prezzo da pagare è altissimo, ancora una volta i portoghesi escono dal campo in lacrime, ancora una volta Guttmann ha avuto ragione. 
Negli ultimi 51 anni, la maledizione è costata al Benfica la finale contro il Milan del 1963, quella contro l'Inter del 1965, quella del 1968 contro il Manchester United, la Coppa Uefa del 1983 contro l'Anderlecht, di nuovo il massimo trofeo europeo nel 1988 contro il PSV Eindovhen e nella rivincita contro il Milan del 1990 e, capitombolo più recente, l'Europa League di poche ore fa contro il Chelsea. 
Sette finali, sette sconfitte. Sette volte a un passo dal tetto del vecchio continente, sette volte vittima di una caduta impronosticabile. Sette volte pronto a cacciare fuori dall'armadietto l'abito della festa, sette volte costretto a riporlo mestamente nell'armadio. State pur certi che difficilmente, domani e negli anni a venire, i tifosi lusitani si scomoderanno dalla loro magnifica terra per deporre fiori sulla tomba di quello che Manzoni avrebbe ribattezzato "l'uom fatale"
BAR SPORT , Macumba e Superstizione....


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