venerdì 7 novembre 2014

LE FOLIE CALAIS

A Calais c’è il mare in burrasca.

Oggi non si vedono biancheggiare all’orizzonte le bianche scogliere di Dover.

Volti familiari sferzati dal vento sfiancante, si fondono con quelli di sconosciuti in attesa che quel maledetto specchio di mare distante appena trenta chilometri dall’Inghilterra si calmi e riparta il primo traghetto.

Dovunque un livido d’umidità mista a salsedine, odoraccio d’oceano, e i soliti gabbiani famelici che si attardano come enormi equilibristi su pescherecci sballottati dalle onde.

Calais è un porto di mare nel vero senso del termine. E’ un po' come lasciare la porta di casa aperta con gente che ti entra dentro per prendere un bicchiere d'acqua, e magari va pure in bagno uscendo senza salutare.

I cittadini di Calais appaiono entità invisibili per chi passa di qua.

Ma oggi, finalmente, c’è qualcosa di nuovo, a parte il mare mosso.

Oggi.

Ladislaz Lozano, cinquantenne impiegato comunale d’origini spagnole sfuggito al regime di Franco, è allenatore di calcio per diletto. E’ uscito un momento dal locale per fare due passi sul lungomare da solo nonostante il tempaccio.

L’enorme spiaggia è vuota. Deve respirare e rimettere in ordine i pensieri.

Da poco si è ripreso da un malore causato da eccessivi festeggiamenti, e in ospedale ha ricevuto nientemeno che un telegramma dal Presidente francese Jacques Chirac, che gli augurava ogni bene e gli dava appuntamento a Parigi.

Il motivo? L’aveva combinata grossa.

Lo dice la foto di quella pagina de L'Équipe portata dalle raffiche, che si avvinghia per un attimo indefinito a uno dei pali di legno impregnati di smalto, che sorreggono la “Friterie”..

Il suo Calais ha conquistato la finale della Coppa di Francia battendo a Lens il Bordeaux. E i suoi giocatori ora nella tuta d’ordinanza giallorossa sono a pochi passi da lui a mangiare pesce e mele fritte come hanno fatto tutta la vita, perchè anche adesso che l’intero paese li aveva visti in televisione restano fedeli alla loro ritualità.

La classe operaia va in Paradiso, ma vuole farlo secondo il suo stile.

Da dilettanti della pedata.

Si è vero, c’erano stati autografi, interviste, delle foto con qualche bella donna, ma in fondo eccoli lì, schietti e un pò ingenui, seduti a scherzare, una combriccola di bravi ragazzi.

Un paio di agenti di commercio, un magazziniere, qualche impiegato, un giardiniere, due insegnanti, un imbianchino, un pasticciere, uno studente universitario, un responsabile di campeggio, un parrucchiere, un educatore e l’animatore di un centro sociale.

Mon Dieu.

Come hanno fatto? Come hanno potuto? Chi ha permesso che nell’era del calcio che fa rima con business all’alba del nuovo secolo, questa manica di onesti cittadini prendesse in giro il sistema, i soldi, gli interessi milionari dei club della massima divisione?

Lozano rientra, chiudendosi alla spalle il grigio della Manica, e subito partì l’ennesimo brindisi, l’ennesimo applauso. A capotavola l’unico con due franchi in più in tasca: Jean Marc Puissesseau proprietario e presidente della squadra fondata nel 1902. Questo pazzo, pazzo, Calais Racing Union FC.

Che sia stata tutta colpa del temutissimo Millennium Bug? In fondo è il maggio del 2000.

Bah.

Riprendiamo.

Favola, sogno, copione cinematografico a basso costo. Gente comune che ha vissuto un’esperienza indimenticabile e che dopo la finale è tornata alla sua vita, agli stessi amici, allo stesso impiego.

Giusto, evviva la retorica. Condiamola con l’immedesimazione e il gioco è fatto.

Tuttavia non è così semplice calarsi nella testa di quei giovanotti che nel giro di qualche mese hanno scritto una pagina indelebile di calcio. Una storia corale attraverso una gamma di colori e sfumature varie.

Tutto potrebbe incominciare dall’epilogo. Da quel tabellone del nuovissimo e stracolmo Saint Denis di Parigi che alla fine del primo tempo della finalissima diceva Calais 1 Nantes 0, gol di Jérôme Dutitre al minuto trentaquattro.

Jérôme che lavorava in Comune a Calais, 80000 persone allo sportello non se l’era mai ritrovate tutte in fila e sinceramente è un bene. Quando infilò il pallone alle spalle di Landreau con un sinistro ignorante e basso, la sua esplosione di gioia nel boato è una vertigine senza fondo.

“Alla lunga cederanno”, era l'anatema. Quello che pensavano tutti.

Invece il Calais continuo' a eliminare gli avversari, turno dopo turno.

Negli ottavi occorse andare a giocare a Lens. Troppo piccolo ovviamente il Julien Denis, e troppo modesto anche l’impianto della vicina Boulogne per ospitare il Cannes, squadra cadetta piegata ai calci di rigore. La gioia per aver raggiunto i quarti di finale fu doppia, quando il Calais dovette affrontare una squadra di Ligue 1. Pescarono lo Strasburgo, offrendo una gara splendida, conclusa strepitosamente 2-1, dove si placò anche la sete di vendetta dello stesso Dutitre, smarritosi per responsabilità non accertate proprio nelle giovanili del Racing Club.

Fine dei rimorsi. Si aprirono le porte della semifinale.

E qui contro il Bordeaux avviene un altro miracolo. Il Calais dovette far ricorso a tutte le sue armi fisiche e mentali, gettando letteralmente il cuore oltre l'ostacolo.

Dopo che i 90' regolari si erano chiusi sull'1-1, nell’appendice dei supplementari, sfiniti e con i crampi, i giocatori del Calais riuscirono a segnare due reti nei minuti finali a cavallo del 120esimo. Finì 3-1 con sugli scudi Mathieu Millien, un piccoletto leggermente stempiato, nativo di Calais dove insegnava alle scuole elementari.

Roba da matti.

Riecco Parigi e i giallorossi della costa in vantaggio a metà gara.

Il portiere e bandiera Cédric Schille, cresciuto nel prestigioso Metz ma giunto a Calais con i sogni di gloria calcistica messi anticipatamente in un cassetto, vede dietro l’angolo la sua rivincita personale.

Il capitano difensore Réginald Becque, occupato in un azienda di scaffalature saprebbe già dove poggiare la copia del trofeo.

Mickaël Gérard magazziniere si vede già festante, issato dai colleghi in alto sul suo carrello elevatore giallo.

Il Calais stava giocando la partita perfetta per una squadra del suo genere. Non solo aveva contenuto gli avversari. Era clamorosamente in vantaggio. Ma quel clamoroso ormai era termine fin troppo abusato.

E gli altri? ma si ci stiamo dimenticando degli altri. Del Nantes.

I “canarini” avevano sconfitto in semifinale i campioni di Francia in carica, mostrando una compattezza ed una resistenza fisica impressionanti.

La favola se vogliamo non è a lieto fine.

A quattro minuti dall’inizio del secondo tempo, arrivò il pari del Nantes: a siglarlo è Sibierski, giovane promessa mai mantenuta del calcio transalpino.

E poi, quando ormai tutto sembrava convergere verso l’agonia dei tempi supplementari, ecco che Alain Caveglia si involò verso la porta del Calais, e il giovane Fabrice Baron gli si oppose troppo energicamente. L’esperienza, cioè quella cosa che capisci di possedere nell’ esatto istante in cui commetti un errore, indusse l’arbitro, Claude Colombo a indicare il dischetto.

Un calcio di rigore stregato e in pieno recupero. Il portiere Schille, non si darà mai pace per quell’episodio che a distanza di anni durante la notte, tornerà a visitarlo nei brutti sogni.

L’arbitro fu irremovibile.

Sibierski si occupò della trasformazione. Non era più tempo di miracoli, il pallone venne solo sfiorato dall’estremo difensore che batté con violenza i pugni nell’erba umida del grande stadio parigino.

La coppa se la presero i professionisti.

Eppure, nonostante il Nantes vinse quella Coppa, fu il Calais il vincitore morale della sfida.

L’intero stadio tributò loro un lungo applauso, ed il capitano e portiere del Nantes, Mickaël Landreau, decise di alzare la Coppa insieme a Becque, il capitano dei piccoli dilettanti che avevano fatto innamorare la Francia.

di Simone Galeotti


Nessun commento:

Posta un commento